Doce and Gabana
“Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia”
Sono stato a vedere la mostra di Dolce & Gabbana. Premetto che non ho mai avuto grande simpatia per i due iconici gay della moda italiana, ma ho sempre ammirato le loro creazioni e le loro intuizioni stilistiche.
La mostra è spettacolare, dalla prima all’ultima stanza e io, mi sono commosso. Non si può restare indifferenti di fronte a quegli abiti, quelle creazioni, quelle incredibili visioni. Ogni stoffa, ogni colore, ogni manica, colletto, spallina, taglio etc. trasmette un’emozione fortissima. Per Dolce & Gabbana, tra spettacolari viaggi nelle arti che hanno reso grande il nostro paese nel mondo, la letteratura, la pittura, la musica il teatro, il messaggio che arriva forte, e che mi ha davvero colpito, è che la donna è femmina sino in fondo, femmina in tutte le pieghe degli abiti, e l’uomo è uomo, maschio per natura, a volte selvaggio, forte e mai arrendevole.
La mostra si chiude praticamente nella penultima sala, quella dedicata ai grandi compositori italiani. Uscendo dalla sala, in sottofondo, oltre ai meravigliosi abiti, ti restano nel cuore le strazianti note di Mascagni, e del suo: Intermezzo della Cavalleria Rusticana. Uno dei capolavori della nostra musica, nata “dal cuore alle mani” da uno dei musicisti meno famosi, di quell’epoca irripetibile, che riempì teatri e incantò popoli di mezzo mondo.
La mostra di Dolce & Gabbana, lascerà Milano per intraprendere un lungo viaggio che la porterà in giro per il mondo. Prima tappa New York, come un viaggio migratorio, come abiti migranti, che vogliono omaggiare gli immigrati siciliani, che con la speranza e la paura nel cuore, intrapresero il lungo viaggio verso il miraggio Americano. Durante tutto il percorso della mostra, la Sicilia la fa da padrona. Negli abiti neri trasparenti delle donne in chiesa, nelle coppole degli uomini, nella sfarzosità dei colori, negli eccessi delle pitture sulle stoffe. Sicilia “fatta a mano”, partorita dalla fantasia, dalle menti di due geniali stilisti, e trasformata in realtà dalle mani mirabili di artigiani e laboratori di cucito nel nostro paese.
Una mostra che ha forti radici nella nostra terra, che si riconosce nella nostra stria, che si nutre della nostra cultura.
La frase di testa dell’articolo, è presa da un’intervista, che Domenico Dolce ha rilasciato tempo fa a Panorama. L’intervista prosegue così: “Non l’abbiamo inventata mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo”. Un’intervista, che silenzia chi da tempo, cerca di trasformare la natura e la vita, in un’ideologia a proprio tornaconto, in una battaglia per scardinare le fondamenta della nostra società e costruire un mondo, una società, che obbedisca a ordini e regole imposte da un organismo che si vuole ergere a capo del pianeta e sovvertirlo completamente ai propri piaceri, ai propri deliri.
Si dice che l’estro, il talento è innato e forse è proprio così. Puoi essere un bravissimo stilista e studiare per anni, ma certe creazioni, certi abiti “punto e croce” nascono solo dalla mente e dal cuore di chi ha qualcosa dentro, che gli è stato donato alla nascita. Le cascate colorate di cristalli che ricoprono il corpo delle donne, e che disegnando splendidi riflessi, si possono sognare, trasformare in disegno a da quello in abiti reali, soltanto se hai quel talento li. Lo stesso talento che senza giri di parole, senza funamboliche esibizioni, riporta con i piedi sulla terra un forzato tentativo di cambiare la storia, la cultura, la natura di un intero pianeta.
Dolce & Gabbana, devono colpirti forte al cervello, arrivare al cuore e lasciarti nell’anima, quella bellissima sensazione di aver respirato per un lungo momento, quell’aria di favola, di reale appartenenza a un paese, a una cultura, a una storia, che ci hanno reso orgogliosi di essere quello che siamo. Un lungo momento che ha attraversato il nostro pianeta, facendoci, almeno per questo, sedere per un lungo tempo, nel tempio dei più grandi.
Avete ragione, questo racconto sa molto di romantico, di fiaba, di buoni sentimenti. Ma forse proprio di questo abbiamo bisogno per risorgere e ritrovare noi stessi. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci faccia innamorare nuovamente delle nostre origini, della nostra terra, e ci renda orgogliosi della nostra storia unica, e di quello che siamo.
E se oggi usciti dalle sale della mostra, possiamo sentirci nuovamente orgogliosi, se ci sentiamo nuovamente sul gradino più alto del mondo, se torniamo a vivere in un mondo di fiabe, molto più reale di quello che stiamo vivendo, di sentimenti speranze e futuro, oggi come li chiama storpiando il loro nome chiunque non sia italiano, dobbiamo dire grazie a: “Doce and Gabana”
Bruno Marro
Commenti
Posta un commento