La mosca nel cappuccino

Lo ammetto, sono un cultore del cappuccino. Il cappuccino è una delle cose che mi da più soddisfazione nella vita. Ma deve essere fatto bene e qui, casca l’asino.

 

Il “cappuccino” è la bevanda italiana più conosciuta al mondo. Ma per le origini dello stesso, dobbiamo cedere il passo a ottomani e austriaci, che per primi hanno giocato un ruolo chiave nella divulgazione della “coffee culture” in tutta Europa e di conseguenza, in tutto il mondo.

Il cappuccino si porta dietro tali e tante storie e leggende, che è difficile dire dove esattamente sia nato. Ma sembra che solo negli anni 30’ a Trieste, si trovasse questo caffè-latte con il latte montato a vapore. Vero o no che sia, da quel momento in poi l’estro italico ha fatto la storia di questa bevanda nel mondo.

 

Io nelle città in cui ho vissuto, ho sempre cercato un posto di riferimento dove andare a prendere un ottimo cappuccino. Non sopporto quelli con troppo latte, troppo caldi, troppo freddi o tiepidi, troppo caffè, poca schiuma, troppo liquido, poco cremoso etc. etc. Il cappuccino vero, deve essere un perfetto mix di caffè e latte montato ad arte. Insomma una cosa “artistica” che mi ha sempre affascinato. Nei pochi, pochissimi bar nei quali sono di casa, lo servono esattamente come piace a me, e ci sono giorni nei quali niente, mi distoglierebbe da passare almeno 20 minuti in questi posti pieni di aromi di caffè e pasticcini, gustando il mio bel cappuccino.

 

Ne ero un accanito consumatore e negli anni, ho fatto classifiche di tutti i tipi. Dal bar pasticceria dove abbinavo il cappuccino a deliziose brioche rigorosamente alla marmellata di albicocche, a quei bar piccoli, poco considerati, dove il barista mi serviva un perfetto cappuccino. A proposito di brioche, avete mai notato come comunemente nei bar alla 10 di mattina resta il vassoio pieno di paste ai mirtilli, alla papaia, alla poltiglia verde, vegana, vuota etc ma mai alla marmellata di albicocca? “Che vuole dottore, quelle vanno via subito”. Ho capito, ma come mai allora non ne fate 100 invece che 50? Nessuno mi ha mai dato una risposta esaudiente. Cesare il proprietario di una delle caffetterie più antiche di Milano, mi diceva sempre: “Tu ti alzi quando gli altri vengono a prendere il caffè del dopo pranzo. Che cosa pretendi?”. Sta di fatto che se vuoi gustarti un ottimo cappuccino con una vera brioche alla marmellata di albicocche, devi affrettarti al bar entro le ore otto di mattina.

 

Ma veniamo a noi. Questa mattina mi sono alzato con una voglia di cappuccio e brioche che non ricordavo da tempo. Mi sono lavato e vestito di tutto punto, e mi sono presentato nel dehors di un caffè pasticceria che frequento ultimamente. Il barista mi ha servito un meraviglioso cappuccino corredato di brioche alla marmellata di albicocche. Le fanno loro e sono squisite.

La tazza del cappuccio, presentava un meraviglioso disegno di fiori. Come facciano a fare quei disegni per me resta un mistero. Sta di fatto che mentre contemplavo il disegno, ad un certo punto, una mosca si è tuffata nel mio cappuccio. Dibatteva furiosamente le alette, girava su se stessa e ad ogni suo movimento, distruggeva il disegno che si confondeva ormai con la schiuma.

 

Ho cominciato guardando la malcapitata, a pensare a un sacco di cose. La prima cosa che mi è venuta in mente, è stato che fuori da quella schiuma di cappuccino, nell’aria, nei cieli, c’è l’infinito. Mi sono così chiesto che cosa avesse spinto la mosca, a scegliere tra l’infinito e una fine così miserabile, seppur dolcemente arricchita, come l’affogare in una tazza con del cappuccino. Cioè, che cosa può essere scattato nella sua pur piccola testolina, per averla spinta ad abbandonare l’immensità dei cieli, lo svolazzo indisturbato nel blu, la libertà, per tentare il suicidio in un caffè con del latte montato? O meglio, che cosa l’avesse spinta proprio nella tazza del mio cappuccino.

 

Cosa può averla spinta a scegliere tra gli odori degli escrementi e quello del cappuccino?

Ora, se per noi umani è ovvio che non c’è paragone tra scegliere di odorare un escremento o un profumato cappuccino, per le mosche la questione non è così riduttiva. Quindi la scelta di farla finita nel profumo del caffè e tra la schiuma del latte bollente, deve per forza essere stata ragionata, pianificata, sofferta. Mentre la guardavo dibattersi negli ultimi sussulti, fantasticavo su quante cose avesse visto nelle tre settimane che le sono date di vita. Quanti orizzonti avesse bucato, quante notti stellate o quanta luce al mattino avesse visto nascere.

Di quanta libertà avesse goduto.

 

Le mosche in realtà sono animali complessi. Ce ne sono di tutti i tipi e a seconda, si cibano di erbe, sostanze zuccherine, sangue e anche materiali in decomposizione. Quindi senza scendere nello specifico, sono insetti che hanno una grande vastità di specie e che noi, raggruppiamo per comodità, sotto una sola specie che riteniamo fastidiosa e che si nutre di escrementi.

L’universo della “Musca Domestica Linneaeus” è molto vasto e diversificato. Un universo complesso. Ci sono le mosche comuni, quelle che svolazzano allegramente sui fiori, quelle che stazionano nelle zone balneari, quelle di montagna… insomma un vero universo sconosciuto. Ma quale di tutti questi esseri svolazzanti era finito nel mio cappuccino? Avrei voluto chiederlo direttamente alla mosca, ma problemi di incomunicabilità tra le specie e soprattutto un imminente problema di sopravvivenza, hanno lasciato senza risposta la mia domanda.

 

Comunque piano piano, mentre il tempo passava e il disegno nella tazza era ormai un ammasso di roba marrone, ho anche cominciato a pensare che avrei dovuto farmi rifare il cappuccino. Già perché onestamente, sbarazzatomi della mosca, di certo non avrei avuto il coraggio di bere quella roba. “Quel che non ammazza ingrassa” dicevano i nonni, ma non per contraddirli, anche a queste affermazioni c’è un limite. Insomma restava a questo punto una sola decisione da prendere. Salvare la mosca e cacciarla dal cappuccino nella speranza per lei, che potesse riprendersi. Al resto avrei pensato dopo, tanto ormai mi si era rivoltato lo stomaco.

 

Di certo però avrei davvero voluto sapere dalla mosca, che cosa l’avesse spinta a tentare una fine così miserevole. Io che in fondo la invidiavo, perché poteva svolazzare nei cieli libera di scegliere dove posarsi, quale direzione prendere, chi incontrare o chi evitare. Dove e quando ritrovarsi con gli amici, discutere di qualunque cosa le passasse per la mente. Si la invidiavo, da povero umano nella mia condizione “perfettamente” costruita, istruita ad un percorso obbligato, rinchiuso in un mini territorio pieno di regole, di pericoli, fregature e false amicizie. Spesso aggrediti da diktat governativi che impongono regole sempre più stringenti sempre più oppressive.

 

Eppure, con tutta la libertà a disposizione, con l’infinito nelle sue ali, aveva deciso di finire la sua vita dibattendosi nel mio misero cappuccino. Così l’ho prelevata con il cucchiaino e l’ho depositata sul tavolo. Sulle prime è rimasta interdetta, poi ha cominciato a sbattere le ali, poi ha fatto qualche passo verso di me e poi è volata via. Ed è a quel punto, che la mosca, mi ha ricordato gli italiani.

 

Liberi di andare e spargersi in un territorio meraviglioso, unico. Un territorio che ti permette di salire così in alto da vedere il resto del mondo, e di immergerti nelle immense profondità marine per arrivare alle viscere della terra. Una terra piena di sorprese, di infinite varietà di piante, cibo, animali e cielo. Un territorio invidiabile e pieno di storia. Un posto bellissimo dove dovunque tu vada ti senti a casa. Ti senti libero.

 

Un posto meraviglioso, dove viviamo sperando sempre che se le cose si mettono male, arrivi qualcuno con un cucchiaino a salvarti.

 

Un po’ come “La mosca nel cappuccino”

 

Bruno Marro

 

 

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