Whatever it takes

La notizia della settimana, per questo paese che è sempre più la provincia povera dell’Europa, è che la Boschi si è presentata dalla D’Urso. Notizia esaltante e, soprattutto, interessantissimo il fatto che quando torna a casa la sera, il suo attuale fidanzato è lì ad aspettarla. Lui vorrebbe tanti figli, lei, immagino, cavarsi dai guai della Banca Etruria. Siamo già nell’abisso, con un debito pubblico dalle cifre impronunciabili, siamo chiusi da un anno nelle nostre case o nelle città. Ci sono inchieste importanti che riguardano tangenti su mascherine, banchi scolastici già finiti nella spazzatura, falsi dati sui decessi per Covid, media che ci terrorizzano con parole come: Pandemia! Estinzione totale! Fine della razza umana! e noi… oltre ad essere misteriosamente ancora tutti vivi, per cosa ci esaltiamo, per cosa abbiamo un sussulto? Per la Boschi dalla D’Urso.

Ultimamente ha anche tenuto banco la discussione sul Festival di Sanremo. Si farà? Non si farà? Certo, una di quelle cose che non ti lasciano dormire la notte. Siamo il paese più appestato d’Europa, abbiamo perso migliaia di posti di lavoro, hanno rapito letteralmente i nostri defunti, li hanno chiusi, cremati senza farceli vedere ma a noi non importa. Noi restiamo concentrati sulla D’Urso e su Sanremo. Più della metà della forza lavoro ha subito un colpo terribile, dal quale non sa se riuscirà mai a rialzarsi, se potrà continuare a sostenere la propria attività, se verrà mandata a casa, se avrà ancora un futuro. Migliaia di lavoratori sopra i 40/45 anni, rimasti senza lavoro, probabilmente non riusciranno più a ricollocarsi ma anche questo non basta. A noi non importa.

Perdiamo pezzi di Aziende, soldi, uomini, risorse, speranze e futuro ma non siamo interessati. Gli aiuti di Stato sono arrivati a 2 lavoratori su 10 e quindi… perché preoccuparsi? Spendiamo soldi inutili per Gazebo con la primula che dovrebbero invogliare i cittadini a fare un vaccino di cui non sappiamo niente. Non importa. Sono stati tolti negli anni miliardi a Sanità, Scuola, Spettacolo, Musei etc ma, onestamente, chissenefrega. Ci hanno fatto multe perché soli, nel mezzo di un parco o nel centro di una piazza, abbiamo abbassato la mascherina e ci hanno beccato! Sanzionati come appestati con possibilità in quell’occasione, di spargere un morbo mortale che avrebbe annientato tutto il paese. Ma a noi non frega niente di niente. A noi Italiani, bastano per sopravvivere la D’Urso e Sanremo.

Nella caotica eccitazione delle notizie sulla vita privata della Boschi e su Sanremo, ci siamo persi però due notizie minori che sono passate sotto silenzio: la morte di Sir Tom More e la richiesta a Draghi di formare un nuovo Governo. Due notizie apparentemente lontane, ma che in realtà sono unite da un filo sottile che si chiama: Whatever it takes; basta che funzioni.

La morte di Sir Tom More, veterano di guerra e assurto alle cronache per aver raccolto oltre 35 milioni di euro con un fundraising per la Sanità Britannica, ha colpito duro. Soprattutto l’inviato di Repubblica Antonello Guerrera, che ha sentito il dovere di segnalare, in un articolo, che Sir More alla veneranda età di 100 anni (avete letto bene), non è morto per sopraggiunti limiti di età, o perché aveva una grave polmonite combinata con un fisico direi abbastanza provato, ma perché risultato positivo al Covid. Quindi per Guerrera, corrispondente di Repubblica nel Regno Unito, è morto di Covid.

https://www.repubblica.it/esteri/2021/02/02/news/regno_unito_morto_di_covid_a_100_anni_il_capitano_tom_eroe_della_raccolta_fondi_per_la_sanita_-285661889/

Ora lascio a chiunque abbia un minimo di buonsenso le rispettive considerazioni sulla notizia e sullo zelante giornalista, che si è affrettato a sottolineare come l’arzillo More che avrebbe potuto campare ancora 100/150 anni, sia deceduto per questo terribile virus. Ormai, fare giornalismo è restare fermo sui binari del mainstream, e anche se qualche dubbio dovesse assalisci, quando scriviamo un articolo del genere, chissenefrega. L’importante è: Whatever It takes.

La seconda notizia riguarda Draghi. Chiamato a gran voce da Mattarella, che è stato costretto ad uscire allo scoperto. Invocato da tutto il mondo della Finanza, Draghi si appresta ad un’impresa complicata e non facile. Per iniziare intanto, dovrà riuscire a mettere d’accordo un’intera accozzaglia di veri improvvisati, indagati, nullafacenti e sopravvalutati dal famoso editto: Uno vale Uno. Dall’altra, dovrà raccattare i pochi pezzi che restano di questo paese, e cercare grazie alla grande considerazione che il suo nome ha in tutto il mondo, di trascinarlo letteralmente fuori da un buco nero che sta risucchiando tutto e tutti. Ora, Draghi non mi è simpatico. Quando pronuncio il suo nome, mi vengono sempre in mente i Titoli Derivati ma in ogni caso, onestamente, non vedo alternative. Ormai non siamo più il paese di: Italians do it better, della Moda, della Ferrari o della Maserati. L’Italia del Mundial del 1982, di Paolo Rossi, di Azzurra, di Capri o Portofino. L’Italia dove gli stranieri venivano a passare le loro vacanze, in cerca di colori, avventure, ottimo cibo e posti incantevoli. Tutto questo credito, e molto altro ancora, ce lo siamo giocati in 30 anni di malaffare, di Governi ridicoli, di Classe Industriale impreparata, di affaristi, di inutili esseri che fungevano da prestanome (Ricucci) e che godevano di linee di credito in Banca da un milione di euro. Ci siamo persi nelle nostre stesse piume colorate, nelle nostre paillettes nei nostri film della commedia italiana, nella nostra grande capacità di gesticolare e incantare il prossimo. Ci siamo giocati la fiducia degli stranieri, che arrivavano con il portafoglio pieno di dollaroni e che pagavano non sapendo, un piatto di spaghetti 10 dollari a Trastevere. Ci siamo persi nel nostro menefreghismo, nell’immobilismo, nella politica del lasciatelo lavorare (Berlusconi). Anno dopo anno, giorno dopo giorno siamo stati trascinati tutti, insieme alle nostre macerie, in questo infinito buco nero dal quale nessuno è più in grado di tirarci fuori. Abbiamo pensato alle nostre sedie, alle nostre poltrone, alle nostre case alle nostre tavole ma mai, dico mai, al futuro dei nostri figli e del paese che stavamo saccheggiando.

Ora forse, c’è una sola persona che può chiedere al resto del mondo di non lasciarci affogare in questo buco, di non lasciarci morire sotto le nostre stesse macerie. Forse non ci riporterà ai fasti di: Italians do it better, ma certamente, se esiste una persona in questo paese che si può permettere di chiamare qualunque carica istituzionale nel mondo, qualunque organismo finanziario esistente sulla faccia della terra, qualunque potente che si muove su questo pianeta, ed essere ricevuto con tutti gli onori, essere ascoltato e preso in considerazione, quella persona è Mario Draghi.

Come si sia arrivati allo sdoganamento totale della politica, allo scollamento della classe parlamentare verso il popolo, al non voto, come si sia potuti scendere così in basso da essere oggi forse il paese con più debito pubblico al mondo rispetto alla popolazione, non importa più. Ora non serve recriminare sul passato, perché ogni giorno che passa, ogni ora che lasciamo scorrere, la situazione peggiora sempre più. Totò diceva: …è la somma che fa il totale e oggi qualcuno, quel totale lo deve pagare. Non sarà simpatico non sarà facile e, probabilmente, si lasceranno sulla strada moltissimi cadaveri. Forse venderemo altri pezzi di questo paese, forse perderemo molta altra forza lavoro ma, probabilmente, costruiremo un futuro degno per i nostri figli. Abbiamo alternative valide? Direi di no, bisognava pensarci prima e per quanto questi quattro sopravvalutati che ci hanno trascinato sino a qui, con la nostra complicità, non dimentichiamolo, urlino e sbraitino chiedendo non miglioramenti per il paese, ma poltrone da occupare, Draghi andrà avanti perché l’imperativo o, se volete, l’ultima fermata ormai ha un solo nome: Whatever it takes.

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