Il giorno del vaccino
Apro gli occhi. Ho dormito malissimo. Ero agitato, nervoso anzi no... eccitato. Avevo quella smania, mista a timore, che ti fa battere un po’ più velocemente il cuore e non ti lascia dormire. Più volte mi sono alzato dal letto, controllando l’ora che sembrava non passare mai. Bagno, cucina per un bicchiere d’acqua, guardavo fuori... nessuno.
Apro gli occhi e vedo la luce filtrare dalle persiane. Ci siamo, dico, è ora! Mi alzo nuovamente, controllo l’orologio e... sono in anticipo, molto in anticipo. Non importa, così ho tempo per fare le cose per bene. Stacco la sveglia, tanto sono sveglio e mi preparo il caffè... mmm non ricordo se posso fare colazione o no. Ma sì che mi importa della colazione, la farò dopo, più tardi, anzi non la farò, salterò direttamente al pranzo. Si ma farò un pranzo come si deve, perché dovrò festeggiare.
Apro le finestre, il sole comincia a scaldare. Da tempo non ricordavo un sole così bello, di domenica, in una giornata primaverile. Adesso sì che si vede la gente per la strada. Tutti in fila, perfettamente ordinati. Con le loro mascherine colorate, i guanti, tutti instradati correttamente a seconda dell’orario e del numero assegnato. Corro in bagno, mi lavo come mai in questi ultimi anni, controllo ogni centimetro del mio corpo, lascio che l’acqua si porti via ogni residuo di passato sulla mia pelle. Una rasatura perfetta, direi, e non mi sono neanche tagliato. Mi guardo allo specchio, mi sento bene, anzi, molto bene. Mi sento come mai in questi ultimi tempi. Sento come una forza nuova dentro me, come un nuovo vigore che scorre nelle vene. Guardo nuovamente dalla finestra. Le strade sembrano più pulite, non ci sono suoni, schiamazzi e non piove. Una giornata perfetta. Ho addosso una curiosa sensazione, come se dovessi sostenere un esame di cui non senti la paura, ma una dolcissima emozione. Finisco di vestirmi, un’ultima controllata allo specchio, poi indosso la mia mascherina, verde intenso. Mi è sempre piaciuto il verde. Mi ricorda i tempi in cui si passavano giornate intere nei campi. In quelle lunghe distese di erba, in quei pomeriggi d’estate dove il giorno non finiva mai e si passavano ore con gli amici a giocare a pallone, a scambiare figurine, ad annoiarci nel verde. Scaccio questo pensiero, ormai solo un piccolo bagliore che ogni tanto mi attraversa la mente ma, per fortuna, sempre più raramente.
Ecco, sono pronto per uscire. Mi assale una forte emozione, come un senso di gratitudine misto a commozione. Sono sul pianerottolo di casa... non lo ricordavo così piccolo. Controllo la mia tessera, con la bella Primula al centro e il numero progressivo. Oh, però il fiore lo avrei colorato di verde. Sopra è indicato l’orario e il codice a barre che mi è stato recapitato tempo fa. Sono leggermente in anticipo e il carabiniere, all’ingresso nell’androne di casa, mi chiede gentilmente di attendere qualche minuto, spostandomi sulla sinistra e mantenendo le distanze stabilite. Mi appoggio al muro e lo guardo. Persino nei carabinieri trovo un’aria rassicurante. La sua bella divisa lucida, la sua mascherina nera e rossa, la sua figura così prestante. Anche lui, sulla giacca della divisa, ha il simbolo della Primula. Questo fiore così bello, così appagante... “...l’ha disegnata l’Architetto Boeri, sa! Un grande Architetto Milanese.” Bella, proprio bella con quel suo colore sgargiante... io però l’avrei fatta verde. Ecco, il carabiniere mi fa un cenno, e finalmente esco all’aperto. La luce quasi mi acceca, mi metto in fila con gli altri, perfettamente a distanza, tutti così silenziosi, assorti. Tutti così educati e sembrano tutti più buoni. SI, siamo diventati tutti più buoni.
La fila procede lentamente ma ad ogni passo sento l’eccitazione salire in me. Vorrei essere già arrivato, vorrei aver già provato quella meravigliosa sensazione che ti dà solo la Libertà. Sì perché finalmente, dopo tanto tempo, potrò riabbracciare i miei cari, gli amici, potremmo ritrovarci agli angoli delle vie, raccontarci di questa brutta storia, e lasciarcela finalmente alle spalle. Potremmo tornare al cinema, a vedere la musica dal vivo, gli spettacoli teatrali, anche se a me, onestamente, tutti quei giovani attaccati l’uno all’altro, sotto un palco ad urlare, non sono mai piaciuti. L’eccitazione sale, mista alla smania di arrivare alla fine della coda. Democrazia.
La fila avanza, lentamente ma senza fermarsi mai. Ecco! Vedo da lontano il grande display che annuncia: L’Italia rinasce con un fiore, che magnifica sensazione! E poi quella Primula gigante sospesa nel cielo, come una nuova stella, che ci indica una nuova rinascita... io però l’avrei fatta di colore verde... ma lo slogan, lo trovo grandioso. Vorrei discuterne con i miei simili in fila, ma non si può ancora. Uno slogan più perfetto non si poteva trovare. L’Italia, il nostro paese, pieno di fiori, di colori e di profumi. A proposito, anche quest’anno non hanno fatto il Festival di Sanremo. Forse non lo faranno più, ma chi se ne frega! Ci aspetta una nuova rinascita, nuovi entusiasmi e... ma la fila non potrebbe andare un po’ più velocemente?
Ma ecco che all’ora perfettamente stabilita vedo, ormai a poche centinaia di metri, il Gazebo. La nuova chiesa dove riceveremo l’ostia della salvezza, l’ostia che ci ridarà la Libertà. Sono al ceck point. Militari con tute e maschere anti gas, mitragliatori e blindati ai lati, ci attendono. Mi inquieto un attimo, ma solo un attimo perché uno di loro, gentilmente, mi chiede la tessera. La passa sotto uno scanner, poi con una pistola laser controlla il bar code che mi è stato assegnato e che risalta come un fulgido braccialetto sul mio polso destro. Tutto perfetto, la sbarra si alza e posso entrare. C’è un tunnel di plastica da percorrere, lo affronto con coraggio. C’è un gran silenzio intorno, un senso di pulizia, di ordine. Un senso di Democrazia.
Sono davanti al Gazebo. Stupenda struttura in metallo, perfetta in tutti i suoi angoli, bordi e pieghe. Questa meravigliosa Primula, fiore di campagna, che annuncia la primavera, una nuova primavera... peccato non sia di colore verde. Un medico con la sua bellissima tuta azzurra e la sua splendida mascherina, sovrastata dall’elmo in plexiglas, mi scopre il braccio sinistro. Avrei preferito il destro ma vedo che tutti, proprio tutti, scoprono il sinistro, in una sorta di rito pagano, straordinario, che ci riporterà alla luce. Di fianco, militari con armi e tute che controllano che tutte le operazioni si svolgano perfettamente, senza errori di sorta. Sono una specie di protezione, per noi, per tutti noi. Danno un senso di Democrazia.
Ecco, è il mio turno. Il cuore mi batte forte, mi sento quasi svenire, un medico controlla nuovamente con la pistola laser il bar code sul mio polso, la mia scheda viene inserita nel drive di un computer che, dopo attimi infinitesimali, accende una luce verde (finalmente) su un display, dove appaiono il mio nome, i miei dati, tutti i miei dati, che scorrono velocissimi e che, al termine, aprono una piccola porta di metallo che dà su una camera, dove mi fanno entrare. Sorpasso la soglia, volutamente disinvolto. C’è un silenzio assordante dentro. Un medico con una siringa in mano si avvicina mentre un altro mi disinfetta la spalla. Il medico con l’ago si avvicina... si avvicina e, per un attimo, mi passano alla mente gli avvertimenti sull’inutilità di questo vaccino, sul fatto che non ci restituirà la libertà, sul fatto che non cambierà niente, che tutto resterà come prima, che non verranno fatti passi indietro, che non riavremo la nostra Libertà...
L’ago entra nella mia pelle e il liquido che ne fuoriesce è soltanto un poco freddo. Esco ed entro nella camera attigua dove una macchina speciale imprime sul mio braccio sinistro un altro bar code con un numero. Mi viene ridata la tessera con la Primula e una nuova, fiammante mascherina, color viola come la Primula. Vengo invitato ad uscire. Sono pronto ad entrare in un nuovo mondo, sono pronto alla rinascita. Mi sento bene, mi sento persino meglio. La porta si apre, il sole mi acceca. C’è una tale euforia in me che decido di passare al bar per un caffè. Quanto tempo è passato... giro l’angolo e... mi metto in coda. Perfettamente a distanza, ordinato, in un silenzio rassicurante. Arriva il mio turno. Uno scanner controlla il nuovo bar code. La luce verde dà il via libera. Mi consegnano il caffè e torno in strada, al sole. Mi sistemo in uno dei tanti riquadri disegnati sul marciapiede, scosto appena la mascherina e con gusto, per la prima volta dopo anni, sorseggio godendone di ogni goccia il mio caffè in Libertà. Democrazia.
Apro gli occhi. Ho dormito malissimo. Sono agitato, nervoso. Ho quella smania, mista a timore, che ti fa battere un po’ più velocemente il cuore e non ti lascia dormire. Mi sono alzato più volte dal letto, controllando l’ora che sembra non passare mai. Bagno, cucina per un bicchiere d’acqua, guardo fuori... non c’è nessuno. Ricontrollo il bar code sul mio polso. Rigiro la tessera con la primula e lo slogan: L’Italia rinasce con un fiore ... io comunque quella Primula l’avrei fatta di colore verde.
Grazie a: Le Elezioni – Giorgio Gaber 1985
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